Nascita di una mostra
Se, come a Stanley Kubrick, mi avessero regalato una macchina fotografica per il mio 13° compleanno, forse il mio rapporto con la fotografia avrebbe avuto altri sviluppi. Invece, l’unico apparecchio regalatomi che vagamente poteva ricordarla fu uno di quegli stupidi giocattoli di plastica al cui interno c’è un nastro che viene fatto scorrere manualmente mentre l’occhio, posato su un finto mirino, rimira una serie di immagini che si ripetono, sempre quelle: souvenir che gli zii mi portavano dai santuari dove si erano recati in cerca di grazie mai ricevute. Storie viste e riviste di santi e di madonne che alla terza carrellata sortivano come mia reazione l’annientamento sotto i piedi di quell’inutile, falso e noioso succedaneo. A dire il vero, un rischio di contagio ci fu verso i primi anni ’70 con la scoperta della Polaroid. Che bella invenzione e che miracolo! Niente più problemi di Asa per rullini Ferrania, Kodak, Agfa o Fuji e niente più laboratori fotografici per stampare le pellicole: puntavi il soggetto, cliccavi e quell’ingegnoso apparecchio ti sputava una lingua di carta di 10 x 10 cm. alla quale bastava strappare un foglio protettivo e, mentre contavi fino a sessanta, l’immagine precedentemente ripresa lentamente ti compariva su quel cartoncino con dei colori improbabili ma molto vicini a quelli psichedelici così di moda in quegli anni. Che sballo! Uno scatto dopo l’altro e potevi ideare il tuo film o quantomeno il tuo fumetto. Erano gli anni di Fellini, Kubrick, Altman, Antonioni, Truffaut, Spielberg, Wenders …, tutti registi con una fotocamera al collo. Dopo il sabato sera trascorso in un cinema d’essai a rivedere Effetto notte, Nel corso del tempo, Professione reporter ma anche La finestra sul cortile del grande Alfred Hitchcock, spesso capitava la mattina successiva di accompagnare un amico amante della fotografia a Porta Portese, al mercato dei russi dove si potevano acquistare per pochi soldi ottime macchine fotografiche, indistruttibili. Confesso che quelle famose Zenit con i loro accessori esercitavano su di me un discreto fascino, non sufficiente tuttavia a farmi scattare la fantasia. E così, privo di macchina fotografica e soprattutto con una maggiore predilezione per altre forme espressive (ammiravo Masaccio, Goya, Turner, Schiele, Sironi, Rothko…), anche se consapevole che la fotografia è arte e memoria del tempo (mi aveva impressionato la foto di Kim Phuc, la bambina immortalata da Christopher Wain mentre fugge nuda dal napalm degli americani in una delle immagini più famose del conflitto in Vietnam), sono venuto su con l’idea che la fotografia si identificasse nella documentazione storica o, a livello privato, nella foto ricordo: un matrimonio degli zii, i compagni di classe della terza b, la foto tessera di un documento. Frequento Mauro da dieci anni, un tempo questo che ci ha consentito di sviluppare un’amicizia che si nutre di intensi scambi culturali ed umani. Eppure, non sapevo che anche lui fosse un appassionato di fotografia. Poi, una sera dell’ultimo inverno, durante un suo soggiorno berlinese, Mauro posta su Facebook tre foto: Quartiere Prati, Ficus macrophylla e Centrale elettrica. Mi piacciono e ne colgo una singolarità che rispolvera i miei antichi e mai realizzati connubi con la fotografia. Per amicizia, in piena libertà e per puro divertimento le commento: tutte e tre hanno un’anima comune, raccontano grovigli che mi ricordano Pier delle Vigne ma senza la drammatica sofferenza del personaggio dantesco. Mauro risponde postando altre foto, tutte in tema con le precedenti. - Ma cosa sono questi intrighi, questi intrecci? E quanti sono? Ne hai altre? Lui, come fosse un prestigiatore che estrae fiori, carte e colombi dalla manica, risponde con altre ancora. - Hai mai pensato ad una mostra? - Ma che dici? - Dai, facciamo una mostra. – Ma che dici? - Dedali, potremmo chiamarla Dedali. Roberto Mancini p. s.: e non sono nemmeno fotogenico!
DEDALI
Mauro Casalboni (1954) inizia a fotografare fin da bambino, spinto ed incoraggiato da Luigi Tosi (Gigi), fotografo di Frascati. Le tecniche fotografiche di ripresa, sviluppo e stampa, apprese presso il laboratorio di Gigi sono molto presto messe in pratica, con la sperimentazione personale e con la realizzazione di un piccolo laboratorio casalingo. Alla fine degli anni ’70, lo studio e l’interesse per quello che sarà poi la sua professione (è professore all’Università di Roma – Tor Vergata dove insegna Fisica dei Solidi e Ottica Quantistica e fa ricerca nel campo dei Materiali e delle Nanotecnologie) lo allontanano però dalla fotografia attiva. Questa forma espressiva rimarrà comunque un interesse latente per trenta anni a fianco in altre passioni: i romanzi di Gadda, la pittura di Mondrian, l’architettura del Bauhaus, Bach, Hitchcock, Truffaut. Da una decina di anni ha ricominciato a fotografare per puro piacere personale, scoprendo progressivamente come la fotografia sia uno strumento per vedere, per osservare più in profondità. In questa occasione sono presentate una ventina di fotografie, in prevalenza in bianco e nero, legate al tema dell’ordine e del disordine e al loro sottile rapporto. Il fascino delle strutture periodiche e delle ripetizioni regolari, come nelle molecole e nei cristalli del suo lavoro.
Mauro Casalboni Roma – Berlino Agosto 2013 mauro.casalboni@gmail.com Foto di Luigi Tosi - Ottobre 1959